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USI CIVICI: da 'gravame' a risorsa per comunità sostenibili
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L'espressione corrente con cui si fa riferimento alla presenza di un dominio collettivo, in Sardegna ma non solo, è: "terreno GRAVATO da usi civici". La percezione di questa realtà socio-economica-ambientale come 'gravame' è profondamente radicata nella cultura ormai da qualche secolo.
Tale percezione 'negativa' ha una sua storia molto significativa. Con l'avvento del 'tempo dei lumi' della ragione la percezione della realtà delle cose si è radicalmente trasformata. Tutto quello che non è rientrato in un quadro di 'macchina naturale' razionale ha perso consistenza, valore. I modelli che sono rimasti a contendersi il campo economico sono quello della proprietà privata e del libero mercato e quello della proprietà pubblica vuoi come altro competitor vuoi in funzione di regolatore. Ripercorrendo i resoconti dell'attività parlamentare che ha portato alla redazione della nostra Costituzione si trova testimonianza del tentativo, che non ha avuto successo, di inserire nella carta il riconoscimento di una realtà terza di 'dominio collettivo' con connotati distinti da quelli delle proprietà pubblica e privata. Le motivazioni di tale scelta sono plasticamente rappresentate in un articolo di Hardin "The tragedy of the commons" (1968) che per lungo tempo ha occupato le scene culturali.
Quel tempo è però passato. Oggi siamo in grado di riconoscere, nelle radici di quella trasformazione della percezione della realtà, una fondamentale motivazione degli squilibri (per non dire sconquassi) ambientali-sociali-economici con cui siamo costretti a confrontarci. Sappiamo che la concezione del ‘mondo come meccanismo’ costituisce una percezione limitante della realtà. Adottare una percezione che tiene conto della complessità del sistema comporta confrontarsi (senza panico) con i limiti delle possibilità di conoscere e prevederne il comportamento (vedi ‘effetto farfalla’(*)). In relazione alla pianificazione della gestione territoriale adottare tale percezione comporta riportare, al cuore del processo gestionale, l’assunzione di responsabilità personale e collettiva sia di chi ‘guida’, sia da parte della collettività, come documentato e dimostrato in testi come “Governing the commons” (Ostrom, 1990) e “Un altro modo di possedere (Grossi, 1977).
L’ancestrale realtà socio-ambientale-economica dei ‘domini di collettivo godimento’ è riscontrabile in ogni angolo della terra e, nel complesso, ha resistito naturalmente al violento tentativo di ‘cancellazione’ che ha caratterizzato gli ultimi secoli, in generale, in occidente. La dove, come in molte comunità della Sardegna, e particolarmente a Seneghe (Scotti, Cadoni, 2007), la gestione attiva del dominio collettivo è vissuta come un valore da parte della comunità stessa, il potenziale che tali realtà presentano quale fulcro per la proiezione verso la sostenibilità della gestione del loro territorio può e dovrebbe essere tradotto in azione (Scotti, TN). Il percorso non è né semplice né scontato, sono tuttavia individuabili alcune strutture di fondo. La ‘gestione sostenibile’ non è una ‘condizione data’ è un progetto in continuo divenire, auspicabilmente in progressivo miglioramento. La comunità, nell'intraprendere il progetto, deve in qualche modo farsi carico delle difficoltà che lo caratterizzano e dotarsi di strumenti atti a gestire tali difficoltà, quali, ad esempio: una struttura di monitoraggio, un piano ed una struttura di gestione con competenze e capacità tecniche atta ad assumere efficacemente la responsabilità della gestione del piano e del monitoraggio. L’avvio della creazione di una tale struttura rappresenta in effetti il punto di attacco del percorso.
In italia meridionale ed insulare sono storicamente assenti delle forme istituzionali che realizzano la modalità di gestione ‘ordinaria’ dei domini collettivi, domina invece la modalità ‘residuale’ (vedi l. n. 168/2017) in cui il comune ha sempre rappresentato gli utenti civici e gestito, con bilanci separati, i beni della comunità, il cd. ‘demanio civico’. Una simile configurazione residuale non consente certo di trasformare in azione il potenziale che i domini collettivi rappresentano quale ‘paradigma di sostenibilità’ (Scotti,
Hardin, Garrett (1968). "The Tragedy of the Commons". Science. 162 (3859): 1243–1248. Bibcode:1968Sci...162.1243H. doi:10.1126/science.162.3859.1243. PMID 5699198. S2CID 8757756.
https://en.wikipedia.org/wiki/Tragedy_of_the_commons
* https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_farfalla
Elinor Ostrom, Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action , Cambridge University Press,1990 (in https://it.frwiki.wiki/wiki/La_Gouvernance_des_biens_communs_:_Pour_une_nouvelle_approche_des_ressources_naturelles la traduzione in italiano di una nota sul libro che non mi sembra male)
Paolo Grossi, Un altro modo di possedere, in Per la storia del pensiero giuridico moderno, Milano, 1977
Scotti, Roberto, e Marisa Cadoni. 2007. «A historical analysis of traditional common forest planning and management in Seneghe, Sardinia—Lessons for sustainable development». Forest Ecology and Management 249 (1): 116–24. https://doi.org/10.1016/j.foreco.2007.05.027.
Scotti, Roberto, e Cristian Ibba. 2009. «Usi civici a Seneghe (OR): leggenda, storia e fallimento». In Scritti in onore di Mario Cantiani, 185–99. FIRENZE: EDIZIONI POLISTAMPA. http://produrreterritorio.files.wordpress.com/2010/09/2009_scottiibba_usiciviciseneghestorialeggendafallimento_in_mario-cantiani_imp_181-196.pdf.
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